I tempi del giornalismo, è risaputo, procedono a passi spediti, molto più rapidamente di quelli del diritto e, spesso, della politica. Ed è per questo che, venuto meno il movente ed esaurita la scorta di supposizioni, valutazioni di merito, opinioni e proiezioni, i quotidiani hanno rapidamente declassato la riforma Gelmini dell’Università da notizia di primo piano a nota di seconda pagina, fino a farla scomparire del tutto. Immagino che non tutti ne siano rammaricati. Presumibilmente, per chi è impegnato nell’attuazione della Legge 240/2010 poter lavorare lontano dai riflettori è un sollievo. Il “silenzio stampa” giova un po’ meno all’opinione pubblica che – se si escludono i diretti interessati – è a digiuno diinformazioni. Ne diamo una: la riforma procede a passi spediti, o quasi. È proprio di queste settimane il parere interlocutorio del Consiglio di Stato che regala una doccia (se non fredda, quantomeno) tiepida ai piani alti di Viale Trastevere, sede del Ministero.
Il parere riguarda uno dei punti chiave della riforma: il regolamento sull’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e seconda fascia dei professori universitari. Per chi non lo ricordasse, nella riforma il possesso dell’abilitazione è requisito necessario per la “presa di servizio” presso le Università. Accade così in Francia. Lo scoglio per gli aspiranti professori non è il concorso locale (notoriamente oggetto di spartizione famelica tra le baronie territoriali) ma un concorso nazionale che decide se il candidato è meritevole e, quindi, idoneo all’insegnamento.
Dati questi presupposti – peraltro molto condivisibili – il Consiglio di Stato formula obiezioni di forma e di sostanza. Delle prime possiamo fare a meno, si tratta di poca cosa. Molto più interessanti le seconde. Ce ne sono tre particolarmente “rognose”.
1. La prima obiezione fa riferimento alla trasparenza dei lavori della Commissione. Il Consiglio di Stato chiede che sia sancito espressamente il diritto dei candidati di conoscere chi siano e quali titoli vantino gli altri candidati. Perché negare l’opportunità ai partecipanti di capire se il proprio curriculum è in linea con quello degli altri concorrenti?
2. Anche la seconda obiezione riguardala Commissionegiudicatrice. In sostanza, dice il Consiglio di Stato, chi controlla la coerenza dei curricula dei Commissari rispetto ai criteri scientifico-disciplinari dell’area cui appartengono? La scelta del Ministero di affidare la parametrazione della qualificazione scientifica dei commissari, sostengono a Palazzo Spada, è impropria. Finirebbe per rendere il Decreto ministeriale determinante per la formazione delle liste da cui estrarre a sorte i Commissari e, di conseguenza, per la valutazione degli abilitandi.
3. La terza obiezione riguarda l’individuazione delle sedi universitarie idonee per lo svolgimento delle procedure di abilitazione, che il regolamento affiderebbe al Ministro senza una predeterminazione precisa dei criteri cui attenersi; mentre il Consiglio di Stato preferirebbe vincolata al rispetto di criteri più chiari.
Pochi punti, ma molto chiari. Si deve lavorare ancora, e molto, per trovare il giusto equilibrio in un passaggio cruciale della riforma. Che poi, risolto il problema, la via sarà in discesa è altro discorso.
(da Il Ricostituente)