Oggi ho una storia da raccontarvi. Anzi, due storie. Entrambe riguardano borse di studio universitarie per dottori di ricerca. In gergo vengono chiamate post-doc. La prima è bandita dall’università di Amsterdam, la seconda dalla prima università di Roma. I punti in comune però finiscono qui, e cominciano le differenze. Ad Amsterdam la borsa prevede un pagamento di circa 2000 euro netti mensili, con un aumento progressivo durante i tre anni di durata del progetto di ricerca. Si arriva fino a 3000 euro netti al mese. A Roma la borsa ammonta a circa 19.000 euro annui, che però sono lordi. Ma questa, tutto sommato, non è una novità. l’Olanda è un Paese benestante e fortemente assistenzialista: ed è anche per questo motivo che la ricerca universitaria viene riccamente sovvenzionata dal governo, pur rimanendo un affare di pochi, perché sono pochi a trovarla economicamente allettante (sviluppare la propria professione altrove, nel privato ad esempio, rende molto di più) e sono pochi quelli meritevoli abbastanza da superare le selezioni. L’Italia invece arranca. Qui la ricerca ha rappresentato per anni il serbatoio da cui attingere risorse per contenere gli sprechi fatti altrove, e ora che le risorse sono finite l’università perde colpi. Rimane però un desiderio diffuso (e il più delle volte frustrato) per tanti che si accontenterebbero anche di poco, sanno bene che la tranquillità di cui godono nei ritmi lavorativi sarà compensata da soprusi e ingiustizie. Sanno e tacciono, perché in fondo sperano di essere graziati e godere anche loro di quei benefici. Ma quanta fatica…
Ecco, appunto, fatica. Il bando dell’Università di Amsterdam viene pubblicato in due lingue (inglese e olandese) sul sito dell’università, ma anche sui principali motori di ricerca europei. Impossibile perderselo, anche a volerlo. Quello romano invece viene relegato nella paginetta sperduta del sito web dell’ateneo. Non ce n’è traccia nelle novità, e cercarlo è un’impresa che chiede attenzione e pazienza. Meglio avere un amico gentile che te lo racconta. Provare a telefonare è inutile. Numeri telefonici inesistenti, oppure fantasma. Qualcuno a volte risponde, ma non sa nulla o fa supposizioni. Il problema, purtroppo, è che il bando italiano è oscuro in molti punti e gli aspiranti candidati fanno, appunto, fatica a capire come devono comportarsi. Addirittura non si capisce se sia necessario allegare un progetto di ricerca completo, oppure solo un titolo provvisorio, e manca il fac-simile di domanda allegato al bando. Si va su carta (e, per alcuni, forse, anche a ruota) libera. Quello di Amsterdam, è appena il caso di dirlo, contiene tutte leinformazioni necessarie. Sbagliarsi è davvero impossibile.
Terminata la procedura, e inviato il materiale, i candidati per l’Olanda ricevono una comunicazione scritta che li ammette al colloquio con la commissione, e contestualmente un modulo per il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno in cui incorreranno. A Roma nessuno sa nulla fino al giorno dell’orale. Si apprende del voto ricevuto da un foglietto volante appeso malamente alla porta di ingresso dell’istituto. Sul “pizzino” ci sono i voti e una classifica, ma nessun criterio logico. Sono stati ammessi al colloquio due candidati che, non avendo raggiunto il punteggio minimo indicato dal bando, non avrebbero alcuna speranza (e nemmeno titolo) a partecipare, perdendo tempo loro e facendolo perdere agli altri.
Chi siede di fronte la commissione olandese trova tre professori che hanno letto approfonditamente il project proposal, sono critici ma realmente interessati a conoscerne i contenuti. Fanno domande. Vogliono sapere le motivazioni del candidato, farsi raccontare le esperienze pregresse e le aspettative riposte. Si discute, ma il clima è sempre rilassato. Sul tavolo ci sono dei pasticcini e del succo di frutta. A Roma si entra tutti assieme in una sala infuocata, l’aria condizionata è spenta. Nessuno dei componenti della commissione ha letto nulla dei progetti. Non c’è da stupirsi dal momento che più di un candidato non lo ha allegato il progetto visto che il bando non ne faceva menzione. Ma anche quelli che, diligentemente, lo hanno presentato, sanno bene che la commissione ha a malapena scorto il loro curriculum. E così, sollecitati da un candidato inadempiente, si rimanda di una settimana, per dare modo a chi non aveva presentato il progetto di farlo. Tutti a casa, sudati. Poco importa se ci sono persone che hanno dovuto rinunciare ad altri impegni per essere qui oggi.
La settimana dopo, quando finalmente c’è il colloquio, il pizzino è stato aggiornato con alcuni ripescaggi e la classifica è cambiata ancora. La sala è sempre infuocata e la commissione non ha letto i progetti, non ne sa nulla, vuole che siano i candidati a illustrarli. Si crea così un contraddittorio fittizio, animato dallo spirito del momento. A qualcuno va bene, a qualcun altro meno. L’impressione è che si debba compiacere il commissario piuttosto che difendere una tesi scientifica. A proposito di tesi: mancando qualsiasi indicazione al riguardo nel bando, si trova di tutto. Alcuni hanno scelto temi europei, altri processuali, altri internazionali. Non si stupirebbe nessuno se arrivasse un biologo marino con un progetto sul recupero della fauna ittica o, che so, un criminologo forense.
A conclusione dei colloqui i candidati di Amsterdam tornano a casa. Un mese più tardi ricevono un messaggio di posta elettronica che liinforma del giudizio della commissione, dei punti di forza del progetto ma anche, e soprattutto, di cosa non ha funzionato. Per tutti è un’occasione di crescita importante. Chi ha vinto la borsa riceve, oltre alle motivazioni della commissione, precise indicazioni sulle future incombenze amministrative. A qualche migliaio di chilometri di distanza, ma in realtà in tutt’altra galassia, i candidati di Roma sono costretti a recarsi al dipartimento, cercando il foglietto volante che, nel frattempo, si è arricchito di altri dati e riporta la graduatoria finale. Nessuna motivazione, solo numeri. Tra i primi c’è un candidato privo di dottorato di ricerca (e quindi tecnicamente privo delle condizioni per presentare domanda), un candidato che non ha rispettato i limiti posti dal bando sulla presentazione dei titoli (e ottenuto così un punteggio più alto, a discapito dei colleghi), e mano a mano tutti gli altri, ordinati (presumibilmente) secondo una miscela di attenzione al grado di affiliazione all’amico e, forse, al merito. Nessunainformazione aggiuntiva. è tutto. Fine. Si torna a casa con un senso di smarrimento simile a quello che segue lo schiaffo di un genitore, affaticati. Sarà per la prossima volta…
(da Il Ricostituente)