Quoting: Gianluca Sgueo, La Democrazia digitale, in Giornale di Diritto Amministrativo, n. 2-2021
Case, elettrodomestici, automobili, orologi, telefoni cellulari: siamo circondati da oggetti “intelligenti”. Sono smart le città che abitiamo, le istituzioni che ci governano e le norme che regolano la società. Un tratto comune unisce queste forme di intelligenza aumentata e la promessa che recano con sé di semplificare le nostre vite: la tecnologia. È così anche per la democrazia? L’innovazione tecnologica rende i sistemi democratici contemporanei più intelligenti, perché più trasparenti e partecipati? Non necessariamente. L’agorà digitale vive di contraddizioni. Priva di intermediari organizzati, e sfiduciata dagli elettori, non dissipa il capitale civico, lo diluisce in rete. Qui ricostruisce un rapporto con i cittadini.Maquando, dematerializzata nello scenario virtuale, è costretta a misurarsi con le aspettative dei propri interlocutori, offre risposte insoddisfacenti. Cade addirittura in contraddizione nel cercare regole “giuste” per disciplinare l’azione di piattaforme private – di cui si avvale – che, a loro volta, si sono appropriate di spazi pubblici. C’è un paradosso ancora più grave: le materie prime per il cui tramite si alimenta la retorica di democrazie digitali (più) inclusive e trasparenti, raccontano storie di sfruttamento, emarginazione e prevaricazione. Navigare l’agorà digitale – dare cioè un senso alle trasformazioni che attraversano i sistemi democratici contemporanei in transizione dallo stato analogico a quello digitale – ci porta a ripensare le fondamenta della partecipazione collettiva alle decisioni pubbliche