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Gianluca Sgueo
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La riforma Gelmini: le aspettative dell’università italiana

29 April 2012Gianluca

Il travaglio è stato lungo e doloroso. In Parlamento la riforma dell’università ha incontrato opposizione fiera e duratura. Nella piazza l’intervento dei leader dell’opposizione e la forte pressione mediatica hanno accompagnato gli scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine. I numerosi talk show televisivi, i tanti articoli pubblicati su quotidiani e riviste, i dibattiti sui social network e sui forum: nonostante la mole consistente di informazioni sul tema, pochi hanno chiari i contenuti della riforma cd. “Gelmini”. Purtroppo il danno prodotto dalla strumentalizzazione (da parte di entrambi gli schieramenti politici) è particolarmente grave perché incide direttamente sulle scelte che molti giovani faranno a breve. In gioco ci sono la scelta del corso universitario da seguire, la decisione di tentare la carriera all’interno dell’università o quella di espatriare e portare a compimento la propria formazione all’estero.

Naturalmente lo spazio a nostra disposizione impedisce un’illustrazione esaustiva della riforma. Se ne possono però individuare le colonne portanti, che sono tre: gli incentivi al merito, la riforma del sistema concorsuale, la riduzione dei settori scientifico-disciplinari.

Gli incentivi al merito sono stati il leit-motiv delle riforme della pubblica istruzione (e non solo) da trent’anni a questa parte. Il più delle volte però si è trattato di proclami privi di sostanza. A voler essere onesti, il problema si ripropone nel caso della riforma Gelmini. Qui il merito viene incentivato attraverso due canali: la creazione di un fondo a favore degli studenti virtuosi (un fondo che però deve essere ancora finanziato) e l’imposizione di sanzioni economiche agli atenei incapaci di adeguarsi agli standard qualitativi imposti dalla riforma stessa. Poiché la valutazione è una delle spine nel fianco della pubblica amministrazione italiana, è inevitabile nutrire qualche perplessità sulla buona riuscita del sistema. Che sia la volta buona?

Il secondo pilastro della riforma è il nuovo sistema concorsuale per accedere alle cattedre universitarie. Lo stato dell’arte è talmente penoso da non lasciare margine al dubbio: non si può che migliorare. Oggi le università italiane bandiscono concorsi e selezionano il personale docente, ma solo apparentemente. In realtà è noto da subito chi è il vincitore del posto messo a concorso. Tanto è vero che ai concorsi si presentano sempre e soltanto i candidati che dovranno vincere. La vera selezione avviene prima. La svolge il titolare della cattedra nei confronti dei suoi collaboratori, su cui esercita un potere quasi assoluto. La riforma del sistema concorsuale propone l’adozione di un sistema “alla francese”. Un singolo concorso su base nazionale, per titoli e colloquio, sulla base del settore scientifico-disciplinare di appartenenza. Al termine del concorso la commissione redige una graduatoria dalla quale gli atenei sono tenuti a “pescare” qualora abbiano bisogno di nuovi docenti. Si dovrebbe così evitare la creazione di concorsi ad personam. Inutile dire che, in attesa che il nuovo sistema entri a regime, gli atenei di tutta Italia si sono affrettati a bandire concorsi per reclutare il reclutabile.

Diminuisce, infine, il numero di settori scientifico-disciplinari. Anche qui l’idea è buona: impedire la creazione di corsi di laurea di nicchia, con uno o due iscritti, solamente per accordare a qualcuno il riconoscimento di una cattedra. Il ricompattamento dei settori è, tra le tre, la misura più semplice da realizzare e quella che, tutto sommato, ha incontrato le opposizioni minori. Dovrebbe portare benefici in termini economici e di efficienza.

Ci sarebbe molto altro da dire sulla riforma, ma ci fermiamo qui. In realtà per il momento l’intero impianto normativo rimane un contenitore vuoto, in attesa di trovare applicazione attraverso i (numerosi) regolamenti di attuazione che dovranno vedere la luce nei prossimi giorni. Non c’è neanche tanto tempo a disposizione. Lasciare la riforma in balia del clima politico instabile significherebbe condannarla a morte. E invece è un buon punto di partenza. Può essere migliorato, certo. Ma almeno definisce un nuovo assetto sul quale si potrà intervenire, discutere e modificare. Le aspettative sono tante. Speriamo non restino solo quelle.        

(da 13 Magazine)

Tags: riforma, università

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