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Gianluca Sgueo
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Quello che resta del Risorgimento

29 April 2012Gianluca

In un bel post pubblicato sul blog di Vision Matteo Bocci si interroga sul significato delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, che festeggeremo durante l’anno in corso (per la verità i festeggiamenti sono iniziati nel giugno del 2010, ma evidentemente senza grande ritorno mediatico). Secondi Bocci – sintetizzo brutalmente – i festeggiamenti, che vorrebbero riprendere e sviluppare il filo conduttore del Risorgimento, creando un legame virtuoso tra quello che fu allora (patriottismo, impegno politico dei giovani, ideali, valori) e quello che è oggi, falliscono nel momento in cui si scontrano con il panorama sociale, politico e istituzionale contemporaneo. Festeggiamo l’unità, sembra dire Bocci, quando in realtà andiamo incontro alla frammentazione.

Non sono d’accordo, almeno per quanto riguarda le celebrazioni. È vero: non saremmo credibili se, da italiani, negassimo la desolante situazione che attraversa l’Italia contemporanea. Siamo (forse) in compagnia più nutrita di quello che sembri, ma certamente sappiamo primeggiare quanto a malcostume delle istituzioni e malessere diffuso delle categorie deboli (che, purtroppo, rappresentano la maggioranza degli italiani). Non ci facciamo mancare nemmeno le aggravanti: viviamo da troppo tempo in un clima politicamente instabile (meno vacillante di quello che raccontano i mezzi di informazione, ma sicuramente non solido) e siamo vittime delle intemperanze della Lega.

È allora evidente che questa festa, che certamente avrebbe meritato tutt’altro contesto e clima, è nata in sordina e faticherà a concludersi in modo eclatante, come invece avrebbe dovuto (e come in effetti era nelle intenzioni di chi l’ha ideata e ci ha lavorato). Tuttavia, di qui a legittimare visioni catastrofiche però ce ne passa, per almeno tre diverse ragioni. Anzitutto, perché l’opposizione politica alla festa (e al messaggio di questa) non trova appoggio nelle strutture amministrative che ne gestiscono l’organizzazione. C’è anzi tanto fervore. Le iniziative di privati cittadini, enti, fondazioni e istituti culturali che hanno ottenuto il patrocinio ufficiale e sono stati inseriti nel programma delle celebrazioni supera di gran lunga il migliaio. Le conferenze stampa, gli eventi culturali e quelli ludici si apprestano ad entrare nel vivo, e richiedono uno sforzo organizzativo notevole, che però finora non è mai venuto meno.

Inoltre, perché le dinamiche secessioniste di cui parla anche Bocci sono il frutto non di questa classe politica o di quella che l’ha preceduta, ma semmai di un processo storico che proprio nel Risorgimento ha avuto inizio. È spiacevole dover ammettere a noi stessi l’idea di un’Italia divisa, ma dovremmo prendere almeno coscienza del fatto che la divisione non è il prodotto della Lega o dei neo-borbonici. Vale piuttosto il contrario. I partiti federalisti o secessionisti portano alla luce un problema mai risolto: quello dell’assenza dei valori di Stato e Patria, che da noi sono relegati all’immaginario della destra, mentre altrove (penso agli Stati Uniti, ma anche alla Francia o all’Inghilterra) sono parte integrante della cultura popolare.

E qui vengo alla terza ragione che dovrebbe spingerci a rivalutare le celebrazioni. Lo scopo che queste perseguono non è tanto quello di recuperare negli italiani il significato del Risorgimento, inteso come somma affermazione dei valori di Patria e Nazione. Un’operazione simile, oltretutto, sarebbe ideologicamente scorretta. Chi lo ha studiato lo sa: è vero che il Risorgimento è vissuto del contributo popolare (basti pensare ai plebisciti) ma, a conti fatti, è stato portato a compimento dalle menti illuminate di pochi, un’elite che ha voluto e saputo trasformare l’Italia di allora. Si tratta di una posizione decisamente antitetica rispetto a quella di una festa che vuole essere anzitutto, e soprattutto, popolare. Lo scopo è dunque quello di insegnare ai più giovani la storia (tutto sommato recente) del nostro Stato e regalare agli italiani un minimo di fiducia e amor proprio.

Concludo qui. Le celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia non devono essere influenzate dai mali dell’Italia o dell’Europa. Né vogliono offrire la soluzione di questi mali. Sono una festa di compleanno importante. È bene che suscitino dibattito, purché chi vi prende parte sappia prendere le misure e distinguere, da un lato, la nostra storia e, dall’altro lato, la celebrazione.

(da il Blog di Vision)

Tags: Celebrazioni, Risorgimento, Unità d'Italia

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