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Gianluca Sgueo
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La semplificazione amministrativa per le imprese: un dialogo difficile

29 April 2012Gianluca

In un recente scambio di corrispondenza elettronica tra il Ministro Renato Brunetta e il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, diffuso sul sito del governo, si è discusso dello stato di avanzamento delle riforme in tema di semplificazione e snellimento degli oneri burocratici per le imprese. Nelle sue mail il Ministro Brunetta illustra i traguardi raggiunti, in risposta alle critiche espresse al suo operato da Emma Marcegaglia nel corso di una nota trasmissione televisiva. Il Presidente di Confindustria risponde riconoscendo gli sforzi dell’Esecutivo. Non rinuncia però ad esprimere qualche perplessità in merito al buon esito delle riforme che più interessano i piccoli e grandi imprenditori italiani. Le imprese italiane, scrive la Marcegaglia,  soffrono dei rapporti farraginosi e “ingessati” tra livelli di governo. L’incapacità di costruire un dialogo snello tra imprenditori e amministrazioni si riflette negativamente sulla capacità dei primi di proporsi competitivamente sul mercato italiano e su quelli esteri.

 Il caso citato non è unico nel suo genere. Al contrario, il tema della semplificazione amministrativa a favore delle imprese è trasversale (mette cioè d’accordo gli schieramenti politici, le scuole dei giuristi, gli economisti e gli studiosi di management) e risalente. Segno anzitutto del fatto che “semplificazione” è un concetto ondivago, declinabile in tanti modi diversi quanti sono i soggetti attuatori. Ridurre il numero dei provvedimenti normativi, facilitare la comprensibilità del linguaggio amministrativo, accelerare la conclusione dei procedimenti e, appunto, agevolare la vita degli imprenditori: sono tutti obiettivi comuni (e noti) ai fautori della semplificazione. Il dibattito sulla semplificazione esprime poi l’incapacità radicata degli apparati pubblici italiani di tenere il passo con il mercato, proporre soluzioni innovative, ragionare (e, dunque, agire) conformemente alle esigenze delle imprese.

 Ha ragione Emma Marcegaglia – o più in generale gli imprenditori italiani – o Renato Brunetta?

Al governo italiano in carica va riconosciuto di aver dato vita, a partire dal 2008, a una serie di iniziative finalizzate alla riduzione degli oneri amministrativi a carico delle piccole e medie imprese (quelle che notoriamente soffrono di più dei carichi burocratici). Lo scopo è quello di migliorarne la competitività, ma anche quello di ridurre i costi per la collettività. Stime recenti della Commissione europea hanno calcolato un costo complessivo dei vincoli burocratici pari al 4,6% del PIL, ossia circa 70 miliardi di Euro l’anno. Il Piano per la semplificazione amministrativa per le famiglie e le imprese 2010-2012 elenca una serie di iniziative importanti, quattro in particolare:

 1. Proporzionalità degli oneri burocratici – è prevista la differenziazione del numero e della tipologia di adempimenti amministrativi imposti alle imprese in base alle dimensioni, al settore merceologico di riferimento e alla tutela effettiva degli interessi pubblici. Una piccola impresa con capitale ridotto e modesta forza lavoro sarà tenuta ad ottemperare ad un numero di adempimenti burocratici molto inferiore rispetto a quelli gravanti su un’impresa di medie o grandi dimensioni.

 2. La carta dei doveri sulle “molestie amministrative” – L’espressione, suggestiva, “molestie amministrative” fa riferimento a tutte le richieste inutili e onerose che l’attuale normativa impone alle imprese. La Carta dei doveri dovrebbe contenere un numero minimo di principi chiave per garantire ai cittadini il pieno e completo esercizio del diritto a fare impresa.

 3. Il Taglia-oneri – L’iniziativa taglia-oneri nasce a seguito della creazione di una commissione coordinata dall’Ufficio per la semplificazione del dipartimento della Funzione Pubblica, alla quale partecipano associazioni imprenditoriali e l’ISTAT. In una prima fase, la commissione individua le procedure e gli adempimenti più costosi. In una seconda fase si valutano quali “tagli” possono essere fatti senza incidere sulla legalità. In una terza fase, infine, si procede con l’abolizione degli oneri amministrativi che, sulla base del censimento, risultano economicamente più gravosi e meno incentivanti per la produzione delle imprese.

 4. “Burocrazia: diamoci un taglio!” – L’ultima iniziativa ha previsto la creazione di un portale online sul quale cittadini e imprenditori hanno potuto segnalare le disfunzioni della macchina burocratica, per suggerire al governo le aree di maggiore criticità su cui focalizzare i primi interventi.

 A queste iniziative si sommano quelle già in vigore. È il caso della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) che mira ad agevolare soprattutto gli imprenditori edili, ma anche del Codice dell’Amministrazione Digitale, che dovrebbe garantire un immediato riscontro sulla riduzione dei termini procedimentali. Tra quelle elencate, alcune iniziative hanno già trovato uno sbocco normativo, o sono in procinto di trovarlo. Altre attendono invece una definizione più completa, in sede legislativa o di attuazione regolamentare.

 Se dunque va riconosciuta la buona volontà da parte del Governo (o almeno da parte dei Ministeri interessati, primo tra tutti quello della Pubblica Amministrazione) non è possibile delegittimare le perplessità degli imprenditori, che qui possono essere sintetizzate in quattro grandi categorie:

 1. Il primo ordine di perplessità è legato alla stabilità dell’Esecutivo in carica. E’ vero che le riforme sulla semplificazione in Italia incontrano da sempre un consenso bi-partisan tra le forze politiche. E’ però anche vero che, da una parte, e per ragioni diverse che qui non interessa approfondire, in Italia manca da anni una stabilità politica in grado di assicurare a riforme importanti (e quelle sulla semplificazione lo sono) il necessario clima di coesione istituzionale che ne consenta l’approvazione. È anche vero, d’altra parte, che il consenso diffuso viene meno quando si dibatte sulle modalità concrete attraverso cui mettere in pratica il principio dell’amministrare semplificando. Un esecutivo poco stabile, o addirittura dimissionario, costringerebbe a tornare al punto di partenza, rinegoziando gli interventi e le priorità (è stato così con la buona riforma Bersani sulle liberalizzazioni, progressivamente erosa dalle misure varate dal governo in carica). Viste le condizioni attuali del Governo in carica, ipotizzare la naturale conclusione della legislatura va oltre le previsioni più ottimistiche. Ne consegue la scarsa fiducia nella possibilità di portare a compimento passi importanti come quello della semplificazione per le imprese.

 2. Un secondo ordine di perplessità riguarda la carta dei doveri. Uno strumento di moral suasion, in un’epoca come quella attuale e nel panorama politico-istituzionale italiano, rischia di concludersi in un nulla di fatto. I codici etici funzionano laddove esistono condizioni di stabilità istituzionale e fiducia dell’elettorato nelle istituzioni. Viceversa, rischiano di tramutarsi in specchietti per le allodole privi di benefici concreti. È per la stessa ragione che in Italia i codici etici non hanno mai funzionato. Basti pensare ai casi delle banche e delle università per rendersene conto.

 3. Altre perplessità riguardano le iniziative che raccolgono l’opinione degli utenti, come nel caso di “burocrazia: diamoci un taglio!”. Non c’è dubbio sul fatto che queste migliorano il dialogo tra cittadini e istituzioni e consentono ai poteri pubblici di testare le esigenze reali dei destinatari delle decisioni. Come sempre, però, queste iniziative mancano di indicare in che modo e misura il Governo prenderà in considerazione le opinioni espresse. Senza contare il fatto che la scelta della consultazione telematica finisce per escludere una parte (potenzialmente consistente) dei possibili interlocutori, incidendo sulla veridicità del risultato.

 4. Infine, nessuna delle misure ipotizzate dal Governo in carica incide sulla relazione tra le amministrazioni dislocate sul territorio, da una parte, e dall’altra gli imprenditori. È difficile giustificare una simile lacuna se non ricorrendo a ragioni di opportunità politica. La mancata abolizione delle Province – o, più in generale, l’assenza di interventi di spessore che attribuiscano alle amministrazioni operanti sul territorio responsabilità precise circa la gestione delle attività imprenditoriali – è il frutto della volontà di mantenere in vita equilibri politici delicati che garantiscono la governabilità virtuale del Paese ma che, di fatto, la condannano all’immobilità.

(da Crusoe)

Tags: imprese, pubblica amministrazione, semplificazione

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