Ci sono due fattori che meritano di essere presi in considerazione per valutare se, anzitutto, esiste una crisi delle sinistre in Europa e, in subordine, identificare i nuovi parametri per definire i (nuovi?) confini che delimitano gli ambiti ideologici e valoriali della sinistra e della destra.
Il primo elemento è sicuramente la perdita di credibilità della classe politica. Causata, talora, dalla scarsa attitudine al buon governo (è il caso italiano) più spesso il venir meno della attendibilità della politica è stata la conseguenza indiretta dei cambiamenti profondi che si sono prodotti sullo scacchiere politico-economico internazionale. Basti pensare alla crisi dei mercati finanziari e, contestualmente, all’avvento delle nuove economie cinese, brasiliana e indiana.
In parte la minore credibilità della classe politica presso la società civile, i giovani in particolare; in parte il prevalere di modelli sociali e stili di vita/pensiero lontani dal linguaggio della politica; in parte, ancora, la devoluzione di funzioni decisionali dai governi nazionali alle organizzazioni internazionali, contribuiscono al formarsi del secondo fattore: la “disillusione” della società civile nei confronti dei governi.
I due elementi – il venir meno della credibilità dei politici, da un lato, e dall’altro il venir meno di coscienza politica nei cittadini – hanno premiato quei partiti e quelle ideologie che hanno investito su nuove forme di comunicazione, oppure hanno tentato il tutto per tutto per recuperare il dialogo con la società civile. Il primo caso è quello dell’amministrazione Obama. La campagna elettorale, ad esempio, è stata gestita attraverso una comunicazione snella, veloce, dinamica. Ed è piaciuta soprattutto ai giovani. Peraltro, anche l’opposizione dei repubblicani ha investito su nuove forme di comunicazione, come dimostra l’esempio dei tea parties, ottenendo una vittoria importante nelle recenti elezioni di medio termine. Il caso del premier Cameron è altrettanto interessante, non tanto per l’inedita alleanza di governo tra i due schieramenti, quanto piuttosto per l’investimento massiccio sulla società civile, da realizzarsi attraverso una pesante devoluzione di funzioni a favore della base, la cosiddetta “big society”.
Viene da sé che in un contesto simile, per molti versi inedito rispetto al passato, non è tanto la destra o la sinistra a vincere alle urne. È il tentativo di singoli di individuare forme di dialogo efficace con i cittadini, sapendo tradurre a proprio vantaggio la recessione economica e i problemi della società.
(da il Blog di Vision)