L’uomo con il forte accento veneto e la barba colorata di verde che inveisce contro gli immigrati e Roma “ladrona”. I giovani che hanno dormito in tenda sul pratone. Le biciclette, il chiosco con le salsicce e il palco centrale con Bossi, che ripete a memoria gli slogan di sempre: ministeri via da Roma, poteri ai comuni, moniti all’alleato Berlusconi, secessione.
Il rito di Pontida ha perso la freschezza di un tempo. Per qualche anno ha rappresentato quello che, un tempo, avevano rappresentato le feste dell’unità. Veri e propri momenti di aggregazione popolare e di discussione. Un modo di fare la conta e dire a sé stessi e agli altri: “siamo in tanti”. Oggi però l’idillio sembra essersi interrotto e il raduno di Pontida appare ridimensionato a piccolo contenitore di provincia, una festa casereccia da osteria, contornata da slogan politici.
L’attrito tra il recente ridimensionamento politico della Lega e l’attesa per l’evento ha reso il tutto più surreale e grottesco. Le elezioni amministrative e, in parte, i referendum hanno consegnato la Lega al ruolo di qualche anno fa: un partito promettente ma incapace di affermarsi con risultati positivi al di fuori del proprio territorio. Anche per questo motivo la sconfitta della Lega ha dato nuova importanza al raduno annuale. Tutti gli occhi erano puntati su Bossi, per ascoltare cosa avrebbe detto del governo. E qualcosa, in effetti, l’ha detta. Abbiamo ascoltato le stesse critiche e le stesse proposte che la Lega rilancia da oltre un anno. Il copione è quello. Il vago minacciare di una rottura all’alleato Berlusconi, le promesse di decentramento e gli slogan per raccogliere i consensi dei presenti.
In realtà la Lega è quello tra i partiti che ha subito i danni maggiori dal clima politico degli ultimi mesi. Anche PDL e PD hanno fatto i conti con un calo significativo di compensi, che in parte hanno premiato i partiti minori e, in parte, hanno premiato la società civile, come nel caso dell’elezione a sindaco di Milano. C’è però una differenza sostanziale tra la prima e i secondi. L’emorragia di consensi è un problema che i grandi partiti, o le coalizioni, possono fronteggiare ricorrendo alle risorse consistenti di cui dispongono.
Per le Lega è diverso. Il partito di Bossi ha costruito la sua fortuna parlando direttamente alla base di problemi concreti. C’è sempre stata una buona dose di demagogia nel messaggio leghista, ma è stata una demagogia funzionale alla proposizione di un modello efficiente di amministrazione. Quando si è arrivati finalmente alla prova del nove, la Lega è venuta meno con clamorosi cali di stile. Il tentativo sfacciato di costruire una carriera politica per il figlio di Bossi, la difesa a spada tratta del premier su temi delicati, il mercimonio di voti, congiuntamente al calo di consensi per il governo in carica, hanno corroso la legittimazione del partito del nord presso i propri elettori e consegnato la Lega a un futuro anonimo.
Pontida poteva diventare l’occasione per scrollarsi di dosso un abito troppo stretto e dimostrare di non aver perso lo smalto di un tempo. Invece l’unica nota di originalità è venuta dalla presentazione (ufficiosa) di Roberto Maroni in qualità di futuro leader del partito. Troppo poco per una forza politica che ambiva a cambiare l’Italia e, invece, è stata catturata dalle logiche di palazzo. Si consolino gli elettori di Bossi. Pare che le salsicce, almeno quelle, siano sempre eccezionali.
(da Il Ricostituente)