Dal blog di Riparte il Futuro del 4 ottobre 2017
Ci eravamo lasciati a ridosso della pausa estiva con un quadro che, peccando di ottimismo, avevamo definito preoccupante. Si parlava di riforma del lobbying delle Istituzioni europee. Le forze in campo erano divise in due schieramenti. Da una parte, la pletora di aziende – piccole, grandi, o multinazionali; solitarie oppure unite in cordata, attraverso le associazioni di categoria – e di organizzazioni della società civile, anch’esse sole o alleate all’interno di coalizioni. Dall’altra parte, invece, le Istituzioni. Queste ultime forti di una manciata di regole (il registro della trasparenza) e di una volontà politica mai venuta meno, perché sancita nel mandato che guida la legislatura in corso. Riformare le regole sul lobbying, porle a sistema, avvicinando così l’Unione europea ai sistemi nazionali più progrediti, è tra i punti programmatici di Jean-Claude Juncker, il Presidente della Commissione europea.
Da allora, complice l’estate e l’interruzione delle attività istituzionali, non è successo granché. Non vi siete persi nulla. Le due parti sono ancora lì, uguali a prima. La ripresa delle ‘ostilità’, quelle vere, è attesa con l’arrivo dell’autunno, sicuramente prima della pausa natalizia, perché al rientro, a gennaio, sarà iniziata la discesa, con la legislatura europea entrata nella fase conclusiva. E nessuno si aspetta un atterraggio sereno, vista la crisi dei migranti, i negoziati sul Brexit e l’ascesa di populismi ed estremismi in tutta Europa. Con la fine dell’anno entreranno nel vivo anche i negoziati per la chiusura dell’esercizio finanziario e l’approvazione del budget. È l’occasione in cui solitamente le Istituzioni flettono i muscoli, tirando la corda fino ad esasperare il contenuto delle discussioni.
Quanto alla riforma del lobbying, siamo ancora nella fase della diplomazia. Verso la fine del mese di settembre, la Commissione ha pubblicato un breve comunicato stampa, rimarcando il clima di coesione con Parlamento e Consiglio. Poche parole a sostegno della volontà di introdurre un nuovo registro della trasparenza (a iscrizione obbligatoria), da estendere al Consiglio (e possibilmente alle agenzie europee), al fine di rendere tracciabili gli incontri tra lobbisti ed eurodeputati, vertici amministrativi e mid-management delle istituzioni. In realtà non è stato compiuto ancora nessun passo decisivo. Il Consiglio rimane diviso in merito alla possibilità di adeguarsi ai vincoli del registro della trasparenza, gli eurodeputati insistono nella difesa del diritto all’esercizio del mandato politico (che li svincolerebbe dall’obbligo di rendicontare ogni incontro con i lobbisti), e la società civile continua a fare opposizione nei confronti delle nuove regole, considerate adatte a una platea di aziende, non di organizzazioni della società civile.
In realtà c’è stato un piccolo, ma interessante, colpo di scena. La Conferenza dei Presidenti (l’organo informale composto dai leader dei gruppi parlamentari) ha deciso di bandire i lobbisti della Monsanto dagli edifici del Parlamento europeo. Motivo della sanzione? Il rifiuto dell’azienda di presentarsi all’audizione parlamentare che, a metà ottobre, avrebbe discusso la questione relativa al glifosato (un pesticida prodotto dalla Monsanto, della cui licenza all’utilizzo si attende il rinnovo in questi mesi, e che trova forti opposizioni da parte degli ambientalisti). Il Parlamento europeo non ha potere diretto nei confronti di cittadini e aziende, per cui il rifiuto a comparire della Monsanto è, almeno in punto di diritto, legittimo. Ma il Parlamento ha certamente un potere di persuasione morale (in termini tecnici ‘moral suasion’) che in questo caso ha deciso di esercitare. È una mossa molto interessante, che apre scenari nuovi: un’azienda è formalmente ostacolata dall’esercizio di attività di pressione entro le sedi istituzionali del Parlamento. È questo il futuro delle relazioni tra politica e lobbisti?