Due milioni di posti di lavoro persi nel primo trimestre del 2009, perdite superiori ai 317 milioni di euro per l’olandese Nibc Bank, seguita dalle tedesche Deutsche Bank e Commerzbank, dalla francese BNP Paribas e dall’inglese Barclays. 613 miliardi di dollari di debito, sufficienti ad affondare la banca d’affari statunitense Lehman Brothers; e poi, ancora, forti flessioni nella produzione industriale, riduzione del tasso di crescita, calo delle esportazioni, sfiducia diffusa negli operatori di mercato, crollo dei consumi. Mi fermo qui, ma potrei continuare a lungo. Gli squilibri prodotti dalla crisi finanziaria ed economica globale delineano un quadro estremamente complesso e articolato. Dopotutto parliamo di un dato quantitativamente consistente, maturato in un lasso di tempo di oltre quattro anni. E tuttavia è di un’analisi convincente degli strumenti di governance approntati dai governi occidentali per contrastare e contenere i danni al tessuto economico che, a me pare, si avverte ancora la mancanza. A mio giudizio sono due gli insegnamenti che possiamo ricavare osservando da una prospettiva allargata il fenomeno della crisi finanziaria ed economica globale. La matrice è comune. Le due lezioni ricavabili dalla crisi economica sono cioè assimilabili nella misura in cui fanno riferimento ai contenuti delle misure di contrasto alla crisi varate dai governi europei ed extra-europei. Mi riferisco soprattutto alle linee strategiche anti-congiunturali e ai piani di rilancio varati dagli esecutivi, nonché ovviamente alla loro applicazione pratica. Per cominciare, le strategie anti-congiunturali elaborate dagli esecutivi nazionali hanno proposto tutte soluzioni di natura spiccatamente protezionistica. È la conferma ad una teoria nota: le sirene del nazionalismo economico crescono in appetibilità in misura direttamente proporzionale alla percezione da parte dei governi del rischio di instabilità dell’economia nazionale. Il tutto, ovviamente, a discapito del mercato unico. Mi limito a due esempi. Anzitutto, il caso europeo. Qui la crisi globale ha condotto all’indebolimento del sostegno politico all’integrazione dei mercati. Penso al piano d’aiuto all’economia varato da Sarkozy che prevedeva originariamente uno stanziamento di oltre 6 miliardi di euro a favore del settore automobilistico, imponendo però una “clausola di esclusività” ai beneficiari. In base a questa le imprese francesi produttrici di automobili non avrebbero potuto né de-localizzare la produzione, né tanto meno acquisire materie prime al di fuori della Francia. Per inciso, di agevolazioni consistenti hanno beneficiato anche le imprese automobilistiche statunitensi, General Motors per prima, e tedesche. Negli Stati Uniti la situazione non cambia. L’American Stimulus Act del 2009 nella sua versione originaria conteneva una serie di previsioni normative di natura protezionistica, finalizzate a tutelare le imprese statunitensi dalla concorrenza straniera. Le stesse misure protezionistiche sono state successivamente modificate, ma non in ragione di un cambio di rotta dell’amministrazione Obama, quanto piuttosto in virtù della minaccia dell’Unione Europea di portare la questione all’attenzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Sempre sul versante dell’assimilabilità contenutistica delle strategie anti-congiunturali, un ulteriore elemento che accomuna queste strategie è la scelta dei settori sui quali intervenire: le infrastrutture, la piccola e media impresa, le semplificazioni amministrative e, in misura minore, la ricerca scientifica. L’American Recovery and Reinvestment Act del 2009 e, prima ancora, l’Economic Stimulus Act del 2008, definiscono tre obiettivi generali della manovra economica. Primo: sostegno a favore dell’educazione superiore, ricerca e innovazione. Secondo: sostegno alle imprese. Terzo: investimenti nelle infrastrutture. Le tecniche principali per far fronte a questi obiettivi sono le concessioni dirette di finanziamenti a famiglie, imprese e settore no-profit, gli sgravi fiscali (ad esempio l’assistenza a favore delle imprese agricole in ritardo con i pagamenti) e gli investimenti nella realizzazione di infrastrutture a favore degli enti pubblici territoriali. Parimenti, gli obiettivi generali della manovra economica francese del 2008 e 2009 si concentrano sulla semplificazione delle procedure burocratiche per le piccole e medie imprese, sul sostegno alla costruzione di nuovi alloggi privati e sulla realizzazione di infrastrutture (soprattutto fibra ottica e trasporto urbano ed extra-urbano). Il caso italiano, purtroppo, fa registrare un’inversione di tendenza. Il piano di rilancio italiano tocca in realtà gli stessi punti di quello francese e statunitense. Ma, al contrario di quelli, gli incentivi all’economia messi a disposizione dal governo appaiono quantitativamente e qualitativamente meno sostanziosi. La Segnalazione Certificata di Inizio Attività, approvata recentemente, è tra tutte la misura più tangibile. Un po’ poco. Non va meglio quanto alle infrastrutture e il “piano casa”. Se ci aggiungiamo le preoccupanti vacanze dei vertici del Ministero dello Sviluppo Economico e della Consob il quadro si fa ancora più preoccupante. È qui che traggo la seconda lezione. Le misure di contrasto alla crisi, pur se omogenee quanto agli obiettivi, rivelano esiti diversi quanto ad incisività. A mio modo di vedere, questo è il sintomo più evidente di un diverso grado di ricettività del tessuto socio-economico, da una parte, ma anche (e, direi, soprattutto) del diverso ordine di priorità dei piani di rilancio dell’economia, nonché ovviamente del migliore o peggiore stato di salute delle economie nazionali ante-crisi. Quali sono, allora, le prospettive di lungo periodo? L’impressione degli addetti ai lavori propende a favore di un progressivo rientro alla normalità, seppure con variazioni sensibili da caso a caso. Non servono dati e tabelle per rendersene conto. I fondi governativi erogati attraverso le agenzie federali statunitensi per la realizzazione di infrastrutture sono a buon punto di avanzamento. Dei circa 5 miliardi di dollari stanziati dal governo per l’introduzione di sistemi di risparmio energetico in case e aziende allo stato attuale ne sono stati effettivamente utilizzati 2,7 miliardi. Così anche per le energie rinnovabili e per il trasporto urbano e ferroviario: gli 8 miliardi di dollari per il miglioramento del trasporto pubblico locale e il trasporto intercittadino su rotaia sono in fase di completamento. Altrettanto positivi i risultati sul versante francese. France Telecom, Aéroports de Paris e STX France Cruise hanno già beneficiato dei 354 milioni di Euro stanziati nel 2008 per i Fonds stratégique d’investissement. Che il sistema Italia sia lontano da queste prospettive è un dato di fatto. Ricette perfette, ovviamente, non esistono. Una politica industriale decisa, un reale e concreto aiuto al “fare impresa” e un sostegno importante alla ricerca scientifica sono punti strategici non ulteriormente procrastinabili. Le leve della crescita passano attraverso scelte coraggiose, che postulino non solo e necessariamente sacrifici, ma avanzino anche proposte di investimento di lunga durata. Per riuscire, per arrivare pronti all’appuntamento con la ripresa, servono coalizioni politiche solide e l’abbandono della retorica politica. Questa è la sfida. I treni, è risaputo, non passano due volte.
G. SGUEO, Il governo dell’economia a quattro anni dalla crisi globale, in Synthesis, settembre-novembre 2010, pag. 31