La democrazia è da sempre un tema “caldo”. Fossimo su twitter la definiremmo trending topic, uno di quegli argomenti che collezionano migliaia di interventi perché tutti sentono di avere qualcosa (di interessante?) da dire. Il che, paradossalmente, è anche il più grande problema di qualsiasi “applicazione pratica” della democrazia: contenere – o quanto meno ordinare – il numero di coloro che esprimono un’opinione, filtrando le buone idee da quelle inutili, o addirittura dannose.
Il problema diventa particolarmente difficile da risolvere quando la partecipazione dei cittadini dovrebbe riguardare l’attività legislativa. Per questo esistono i Parlamenti. La rappresentazione dovrebbe consentire il governo dei cittadini, indirettamente. Ed è per questo che funziona poco, o non funziona affatto. Abolire i parlamenti non è cosa possibile, né saggia. Tentare invece di costruire un sistema di partecipazione complementare (o addirittura alternativo) a quello dei parlamenti è una suggestione affascinante. Ed è anche, per grandi linee, quello che propongono i “wikicrati”. Questa, in sostanza, la teoria: se sfruttiamo le nuove tecnologie, che oggi sono accessibili facilmente e a basso costo dalla gran parte della popolazione, dovremmo riuscire a creare consenso o dissenso intorno a proposte concrete, dovremmo riuscire a votarle, e dovremmo riuscire anche ad approvarle. Non è poco.
Oggi la Wikicrazia va molto di moda. Ha tutte le carte in regola per affascinare i curiosi, dosa sapientemente il lato tecnico (che pure, a ben vedere, è preponderante) con quello divulgativo. Riuscire a farla funzionare è una sfida interessante. In Russia da qualche tempo c’è Wikivote, una piattaforma virtuale alla quale si collegano i cittadini e propongono modifiche agli articoli di legge. Chiunque, registrandosi, può proporre una modifica. Dopo sarà la comunità a decidere se era una buona proposta. I più bravi acquisiscono crediti virtuali, che danno alle loro opinioni maggiore credibilità. In Brasile, attraverso E-Democracia, i commenti dei partecipanti non modificano direttamente le proposte di legge. Però vengono indirizzate ai membri dell’Assemblea parlamentare, che dovranno tenerne conto. Dalle parti nostre, l’Emilia Romagna ha sperimentato un sistema simile. Oltre a monitorare le attività del Consiglio regionale, si possono anche proporre modifiche alle leggi in discussione. Peccato che non esista alcun vincolo in capo ai consiglieri a rispettare le opinioni espresse.
Attenzione però ai facili entusiasmi. Gli autori del Wikivote russo sostengono che il successo della loro iniziativa sia dovuto al fatto che, a livello governativo, scarseggino i tecnici capaci di redigere buoni testi. Tanto vale affidarsi alla consultazione popolare. Il problema è che, così facendo, metti a serio rischio la buona riuscita dell’iniziativa. In Emilia Romagna per esempio il tasso di partecipazione è estremamente scarso. Il progetto non ha funzionato perché, oltre alla cattiva comunicazione, è stato percepito come scarsamente innovativo. Che senso ha darmi la possibilità di vedere a che punto è una proposta di legge, e dire la mia, se so già che non verrò ascoltato? In Russia invece c’è il problema opposto. Sono talmente tanti quelli che si registrano per esprimere un commento che la qualità del dibattito si abbassa. Non possiamo pretendere di essere tutti tecnici del diritto o esperti in ogni materia.
Ecco perché la soluzione dovrebbe essere un ibrido, a metà tra la consultazione popolare indiretta e quella diretta. Un ibrido in tutti i sensi, anche fisico. Come quello che ha progettato l’australiano Andrew Maynard: un Parlamento mobile. Un edificio trasparente, che trasmette all’esterno l’andamento delle votazioni e che, soprattutto, può essere spostato da un posto all’altro. Una sorta di Parlamento “sotto casa”. Avete bisogno di una legge? Chiamate, il Parlamento arriva da voi.
(da Il Ricostituente)