A volte è necessario riconoscere di aver sbagliato. Nel corso degli ultimi cinque anni gli analisti della politica, in buona compagnia di studiosi, giornalisti e bloggers, hanno decretato l’agonia prima, e subito dopo la morte, della democrazia e dei suoi istituti. Da una parte, il cambio di rotta di molti governi europei (alle coalizioni di centro-sinistra sono subentrate coalizioni di destra, attestate su posizioni più o meno estremiste, è il caso di Spagna, Francia, Olanda, Irlanda e Italia) e, dall’altra, gli “scarti culturali” prodotti dalla crisi dei mercati finanziari – soprattutto il ritorno in auge del nazionalismo – hanno spinto molti a supporre che fosse in atto un cambiamento importante: meno società civile, più governo. Nell’opinione degli analisi il prezzo da pagare, salatissimo, sarebbe stato la delegittimazione degli istituti di democrazia diretta, destinati a perdere in appeal. Ne avrebbero guadagnato invece la stabilità, la sicurezza e (questo l’auspicio) il benessere economico.
Che errore di calcolo madornale. Gli eventi di questi mesi ne rivelano tutta la gravità. Sul piano interno non si può non prendere atto del fresco successo referendario, come del fatto che la tornata elettorale abbia consegnato una città importante come Milano al candidato di una lista civica (e in altre città, come Napoli, abbia sancito la sconfitta dei partiti maggiori). Entrambi voti di rottura, non c’è dubbio. Sta di fatto che entrambi i voti hanno palesato la volontà dei cittadini di dire la propria, dando un segnale forte alla classe politica, sia di governo che di opposizione. Se poi usciamo fuori dall’Italia è tutto un fermento di democrazia oppure, se preferite, del ritorno prepotente della “base”, i cittadini, che pretendono di essere ascoltati. In Spagna i giovani si incontrano nelle piazze di Madrid e danno vita a un fenomeno nuovo, anche questo di rottura, ma ben chiaro nel suo funzionamento: assemblee, dibattito e voto. In Africa sono ancora i giovani a essere protagonisti. Lo fanno con lo strumento più democratico di tutti: i social networks. Quando poi un Vescovo della Chiesa d’Inghilterra attacca l’idea di Big Society di Cameron, tacciandola di demagogia, riceve un appoggio molto tiepido, per non dire freddo. Sarà forse una scommessa, ma l’ipotesi di Cameron piace a tanti.
È il ruggito della democrazia. Possiamo trovarne tante interpretazioni, anche discordanti, e di certo gli esempi che ho riportato sono molto diversi tra loro. Ma c’è un filo conduttore, anzi tre, che li legano. Il primo elemento comune è quello dei protagonisti: finalmente i giovani. Il secondo è l’intento: rompere col passato e con gli schemi di un sistema politico che non funziona più. Il terzo è l’esito: incerto per ciascuno dei casi citati. Può darsi che il ruggito democratico sia frutto del malessere diffuso dei giovani europei. In questo caso saremmo noi a sbagliarci. Oppure, ma ci muoviamo nel campo delle ipotesi, si sta aprendo una nuova fase della politica nella quale i governi dovranno tornare a dialogare più intensamente con i cittadini, assecondandone le esigenze, e i cittadini dovranno imparare nuovamente a usare gli strumenti di partecipazione che mettono a disposizione le Costituzioni. In questo caso, il ruggito lascerebbe il posto al dialogo.
(da Il Ricostituente)